Semi-serissima anticipazione sul Giro d’Italia 2020

Non vi sarà sfuggita la pubblicità di una delle più famose case automobilistiche tedesche. No, non quella di Jürgen Klopp che fugge e sgomma perché fuori c’è ancora luce. L’altra, quella in cui si loda il confort dell’auto teutonica nonostante le buche presenti sulle strade di Budapest. L’unica volta, quella, che i romani non si sono sentiti derisi e messi alla berlina per le piaghe della loro città. Grazie, tedeschi, per prendere di mira Budapest al posto nostro. Già paghiamo un grosso scotto, noi, per le buche. Per esempio, dopo la figuraccia dello scorso maggio, ci schifa pure la RCS che aggirerà Roma in tutti i percorsi e non ci farà più sede di tappa per il Giro d’Italia. E, secondo voi, da dove partirà la corsa rosa nel 2020? Una città a caso… Budapest.

Però c’è qualcosa che non torna. Nel 2013 il Ministro dei Trasporti ungherese firmò la cosiddetta Carta Nazionale del Ciclismo, un documento redatto da sette associazioni ciclistiche in collaborazione con l’ECF (European Cyclists’ Federation). L’intento era quello di impiegare ben 400 milioni di euro per incentivare la mobilità ciclistica e confermare Budapest tra le città più “bike friendly” del mondo. O il progetto è fallito e quindi la pubblicità di cui sopra ha preoccupanti riscontri oggettivi e i bikers ungheresi, se ancora ci sono, sono tutti kamikaze; oppure non ci sono più i pubblicitari tedeschi seri di una volta.

In ogni caso, il tarlo che per amor del Giro avremo da qui al 2020 sarà: “perché proprio l’Ungheria?” Forse il Giro si presta agli ungheresi come mezzo per rimettersi in corsa per vecchi ambiziosi obiettivi?

In questi anni, le polemiche sulle partenze dall’estero si incentravano sul fatto che il Giro va dove fa cassa. Verissimo. Ma ci sta, l’abbiamo accettato, pure questa l’abbiamo mandata giù, business is business. E comunque gli organizzatori  ci hanno insegnato che il Giro va dove è amato, dove la cultura del ciclismo è viva e fa parte della storia, dove fanno un Giubileo straordinario, dove vuole portare un messaggio di pace. E, diciamocelo, di fronte a tutto questo, chi oggi non pensa all’Ungheria?

Degno di nota il fatto che l’accordo tra RCS e i vertici ungheresi è stato chiuso, o almeno comunicato, ad aprile, con circa cinque mesi di anticipo rispetto agli altri anni. Il clou della questione c’è stato alla conferenza di presentazione dell’accordo dove, chiaramente, erano tutti felici della grande opportunità. Il Ministro degli Affari Esteri Tamás Menczer ha affermato che attraverso il Giro vogliono far conoscere la bellezza del loro Paese e “mettere in mostra i valori ungheresi”. Infatti ieri Salvini è già andato a perlustrare il percorso dall’elicottero.

 

Laura Carletti

Viviani al centro del mondo

Foligno. Esci dalla stazione e stai già al triangolo rosso dell’ultimo chilometro. Te lo fai tutto per ispezionare il percorso. Ai 300 metri dal traguardo ci sono i panini. Un’ampia semicurva a 200 metri interrompe il lungo rettilineo d’arrivo della terza tappa della Tirreno-Adriatico. Ancora non c’è nessuno, solo personale addetto all’organizzazione. Le informazioni sul quartier tappa con sede al palasport ci vengono date da un addetto della RCS che poi ci chiede se siamo del posto. Voleva una dritta su qualche ristorantino. Ciò a conferma che il primo pensiero di tutti è proprio il magnà.

Al Palapaternesi ci si arriva attraversando un ponticello sul fiume Topino, così stretto, ma così stretto che pure il senso alternato è un affronto per il miglior automobilista, che il fatto che è pure pedonale porta a rischio attacco di panico. Il clima però è ottimo. Rispetto a qualche anno fa, quando faceva un tempo da cani, oggi a Foligno è primavera. Sarà per il  riscaldamento globale. L’avvistamento del van Gazzetta di Giuseppe Santucci, il ritiro del pass, un pranzo al vapoforno. Poi il lungo appostamento ai 100 metri dal traguardo.

Non ci voleva tanto, ma se c’è una cosa che negli anni è migliorata, è la compilation della RCS. Nell’ordine, irrompe Ben Harper, poi la povera Dolores O’Riordan canta Dreams, gli U2 con “In the name of love” e “I want to break free”, Queen. Forse è cambiato il dj. Quindi è il momento della sfilata di figuranti vestiti in abiti seicenteschi.

Ciclisticamente si batte la fiacca. Una fuga di giornata che prende un vantaggio massimo di 4 minuti, viene ripresa a 4 km dall’arrivo. Quando manca poco al finale, lo speaker, nella figura dello storico Stefano Bertolotti, si rivolge al pubblico. Un avviso che dovrebbe essere sottinteso, ma visto quello che è già successo a Lido di Camaiore, non è affatto superfluo: state attenti, non sporgetevi, non usate stik per i cellulari, i corridori sono persone che stanno lavorando. Amen. Arrivano. Peter Sagan lancia lo sprint ma è Elia Viviani a vincere la sua prima tappa alla Tirreno-Adriatico davanti allo slovacco. Terzo Gaviria. Yates ancora leader in maglia azzurra. Premiazioni e rapida smobilitazione. E’ brutto dirlo ma De Luca e Ballan non se li fila nessuno. Che tempi quando la gente affollava i mezzi RAI per farsi le foto con Cassani! Domattina si riparte da qui. Buonanotte, Foligno.

Operazione ritorno: storia travagliata di un disegno

Ranieri
Claudio Ranieri (Laucarlet, 2019)

Ranieri antico romano nacque tanto tempo fa. Roma. Inizio dei lavori: 2010. Fine dei lavori: 2019. Bloccati tipo la TAV, faraonici tipo i cantieri Pantano-San Giovanni. In mezzo Inter, Monaco, nazionale greca, Leicester, Nantes e Fulham. Una Premier League vinta, un 2016 da star, una valanga di premi internazionali e parecchi esoneri. In mezzo nove anni di disegno incompiuto chiuso in un album.

Dieci giorni fa, quando Ranieri era ancora l’allenatore del Fulham e nel cervello c’era solo la Roma, l’album s’è riaperto. E man mano che il disegno si completava è successo tutto: esonero dal Fulham, il derbaccio, il Porto&Cakir, ciao Di Francesco e grazie di tutto, “Pronto, Fettina, le andrebbe di tornare?” “Ah, per fare il curvone e la rincorsa al quarto posto? Ok”. Un catalizzatore di eventi.

Quindi sotto le mani, il 7 marzo 2019, si è concretizzato il nuovo allenatore della AS Roma. Incorniciato il giorno del suo arrivo a Trigoria.

Se funziona così, allora comincio a disegnare il prossimo. Ma stavolta mi sbrigo pure. Va bene Salah?

Laura Carletti

Ajax, que dolor!

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La notte, la stagione, il ciclo. Tutto si chiude amaramente per i blancos, sotto i colpi dell’Ajax. Annientati dal bel gioco spregiudicato. Usciti azzoppati, Lucas Vazquez e Vinicious. Squalificato, Sergio Ramos, presuntuoso spettatore della debacle dalla tribuna. Solari rischia la panchina. L’Ajax vola.

Laura Carletti

Pirata. Vi racconto un sogno 15 anni dopo

Siamo stati in lutto come per un parente. Lui era così. Piangevamo senza farci vedere. È durata tanto. Poi una notte mi è venuto in sogno.

Camminavamo sulla strada in discesa. Una strada di montagna. Lui alla mia destra; a sinistra gli alberi, addobbati con festoni rosa. La strada era d’asfalto grezzo e rovinata, con uno strato superficiale di sassolini che scrocchiavano sotto i nostri passi. Per il resto era solo silenzio. Abbassando lo sguardo vedevo le sue scarpe sportive e i jeans, erano chiari. Poi mi ha parlato.

Solo una frase, che tuona ancora nella mia mente ogni volta che penso a lui. Una frase di rassegnazione, sospesa, che lascia tanti interrogativi, ma forse dall’intento consolatorio. Mi ha detto solo:”È andata come è andata“.

 

Vita da non abbonato: best practices

Proprio l’altro giorno stavo ricordando l’esperienza di Tele+.
Vi ricordate Tele+? Quella che facevi i compiti e poi andavi a vedere la Roma a casa del compagno di classe che aveva l’abbonamento. Poi c’è stato il pub, quello dove andavi a vedere la partita su Mediaset premium o Sky insieme all’amico di prima che si era rotto di avere gente a scrocco. “E che so scemo, io?”

Ma tu non ci caschi ancora e sponsorizzi il pub, fautore di socializzazione con la tifoseria di quartiere e maturazione di esperienza su luppoli e birre artigianali. Sono gli anni migliori, di necessità virtù. Gli anni in cui a casa tua lasci chi, nonostante tutto, preferisce la radio perchè nel frattempo stira, cucina, vernicia la ringhiera o mette i semi ai canarini. Segue breve parentesi temporale in cui partita fa rima con “telecronaca in ucraino e streaming scattoso”. Parentesi che si tende a dimenticare od omettere per amor di legalità.

Poi arriva Mourinho, agente destabilizzante di questo equilibrio. Succede che in un attimo vuoi diventare bordocampista e oggi, dopo dieci anni, non ce la fai a fare unsuscribe e il sito dell’Inter ti manda ancora gli auguri per il compleanno. Ecco, in quegli anni non era solo questione di guardare una partita, ma era assecondare una passione sportiva. E al pub a Roma ti fanno vedere anche l’Inter o il Palermo di Pastore e Cavani solo negli scontri diretti. Come si fa? È lì che capisci che è ora di ricambiare il favore all’amico di Tele+. E ti abboni e passano gli anni e ti abitui.

Ora da questa carrellata storica non è emersa la modalità di prima visione dei gol sulle trasmissioni RAI  il sabato sera e la domenica pomeriggio. Residuale e anacronistica. Chi è che oggi si frega le mani per vedere i gol un’ora dopo? Ormai è inutile dire che, se necessario, l’uomo usa tutti suoi neuroni di fronte alle difficoltà per ottenere la diretta. Qui sono state proposte alcune tra le più percorribili soluzioni per affrontare preparati questo confuso giro di vite sui diritti.
Ricapitoliamo le caratteristiche vincenti del non abbonato: 1) coltiva buone amicizie; 2) beve responsabilmente; 3) possiede competenze di base in ambito informatico. Completa il profilo la conoscenza di almeno una lingua slava.

Roma, è arrivato Giracchio

È colpa di tutti. È colpa della rcs che pare si sia fidata di rassicurazioni a distanza sui rifacimenti delle strade; è colpa del comitato di tappa, che evidentemente ha raccontato scemenze, s’è occupato d’altro, ha sottovalutato il problema e/o era costituito da persone che non sapevano cos’è il ciclismo professionistico; è colpa di noi appassionati, che per tempo avremmo potuto segnalare con più forza, a chi di dovere, la situazione che avevamo sotto gli occhi, anzi sotto ai piedi. 

Indice del decadimento capitale è il fatto che nove anni fa, sulle stesse strade, Kolovanovas non ebbe problemi a sfrecciare a 46.2 km/h di media nella crono conclusiva. Oggi invece i corridori protestano, non vogliono rischiare l’osso del collo, a parte quegli scavezzacolli dei velocisti, e il tempo si neutralizza dopo i primi tre giri. Perciò gli scooteristi romani che vanno a lavoro potrebbero protestare e far neutralizzare il tempo al tornello? Non lo so, però è stato un dispiacere. Eppure per altre competizioni sportive, come per la recente formula E, di asfalto se n’è usato. Forse troppo ed è finito? Che alla rcs piacciano le sfide l’abbiamo capito e si accontenti di aver vinto quelle di aver portato il Giro in Israele e Froome in maglia rosa. Ma un conto sono le sfide e un conto sono i miracoli a Roma. 

Laura Carletti

L’ultima tappa del Giro: la discesa del Teatro Marcello

Il Giro d’Italia è partito tre giorni fa da Gerusalemme ma noi cominciamo già ad analizzare l’ultima tappa: i punti chiave del percorso di Roma, in ordine sparso. Oggi parliamo della discesa del Teatro Marcello.

L’ampia curva a sinistra in fondo alla discesa

Da Piazza Venezia, in leggera ascesa si arriva ai piedi del Campidoglio. Un buon punto per provare un allungo all’ultimo giro. Siamo a circa 2 km e 300 metri dal passaggio dei Fori Imperiali; curva a destra e giù verso via Petroselli. La discesa del Teatro Marcello non è ripidissima, 250 metri di strada larga e con sampietrino per lo più asfaltato. Ci sono però da segnalare numerosi avvallamenti, soprattutto a centro strada. I famosi “serciaroli” in questi ultimi mesi hanno risistemato il lato sinistro della carreggiata a bordo marciapiede. Quindi, se potete, tenete la sinistra. Inoltre, il manto stradale risulta spesso sporco, con un sottile strato di polvere che probabilmente proviene dal sovrastante Monte Caprino, luogo ancora oggi fortemente bucolico. Attenzione particolare in caso di pioggia, potrebbe essere scivoloso. Un gruppone in passarella non avrà alcun problema, ma eventuali fuggitivi nel finale a tutta devono scendere con cautela. Impostate bene l’ampia curva a sinistra, sennò vi ritrovate direttamente da Giggetto al portico d’Ottavia, cucina romana dal 1923.

Laura Carletti

Olimpiadi invernali: il buco involontariamente

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“Siamo tutti dei grandi sciatori e sport invernali” diceva il Giampiero Galeazzi dei tempi migliori. E sicuramente dovrebbe essere così, almeno fino al 25 febbraio.

Ma in effetti, per seguire queste Olimpiadi bisognerebbe come minimo:

1) Non dormire la notte per collegarsi con Pyeongchang; 2) avere un certo background sugli sport invernali che non si fermi ai tempi di Alberto Tomba e Ole Kristian Furuseth; 3) amare il contesto montano invernale, il freddo, la neve.

Spiace evidenziare, ad oggi, la distanza esistente con questo identikit. Se, per giunta, si sono trovate ogni anno valide motivazioni per non fare una settimana bianca e non si sono mai messi ai piedi un paio di sci, come ci si può immedesimare nel clima delle gare? Tutto al più, ci si potrebbe immedesimare nel clima del dopo gara, se esiste (leggasi chalet in cui predisporre un terzo tempo a base di ciccia).

Insomma, con le Olimpiadi invernali serve qualche espediente emozionale per venirci incontro. L’obiettivo a quattro anni è trovarli per cogliere così l’essenza della massima del Giampiero nazionale.

Laura Carletti

Il sogno di correre la Dakar

Un post condiviso da SS/ Arkaçanta (@arkacanta) in data:

Bisogna chiamare le cose per quello che sono. Per evitare territori africani poco sicuri, ormai da un decennio si corre in Sud America: quest’anno chiamiamola Lima-Cordoba perchè parte da Lima e non da Parigi e arriva a Cordoba e non a Dakar. Invece continuano a chiamarla solo Dakar e tra gli hashtag spunta anche #DakarArgentina. Una confusione spaziale.

La Lima-Cordoba è partita il 6 gennaio e si è conclusa il 20 dopo aver attraversato dune, altipiani e montagne per quasi 9000 chilometri, dal freddo della Bolivia ai 45 gradi dell’Argentina. Hanno partecipato 337 equipaggi, per un totale di 525 concorrenti provenienti da 54 paesi: 190 fra moto e quad, 105 auto e 42 camion. Gli italiani al via erano 21, sono arrivati in 6. Il migliore tra loro è stato Jacopo Cerutti, ventesimo con la sua moto Husqvarna. Gara vinta dall’austriaco Matthias Walkner con 16 minuti sull’argentino Kevin Benavides.

Con la moto voleva partecipare anche il portoghese André Villas Boas ma poi, per il troppo tempo dedicato all’allenamento dello Shanghai e il troppo poco tempo dedicato al suo allenamento in moto, ha ripiegato su un’auto Toyota in compagnia dell’esperto Ruben Faria. E così, lasciata la Cina per vari motivi, lo storico vice di Mourinho ha realizzato il suo sogno della Dakar. Come fece lo zio Pedro, che partecipò due volte. Anche André forse riproverà il prossimo anno, visto che già al termine della quarta tappa è arrivato il ritiro per dolori alla schiena. Vince invece la classifica finale auto lo spagnolo Carlos Sainz, del Team Peugeot, con tre quarti d’ora su Al-Attiyah. E come dicono i telecronisti bravi “via via tutti gli altri”.

Laura Carletti