Giro d’Italia, ti mando un amico a Cesena

Ieri, sul tracciato della crono che da Savignano sul Rubicone portava a Cesena,  abbiamo lanciato il nostro primo inviato ufficiale.  Tifoso storico del ciclismo, sceso dal Veneto con l’entusiasmo di pochi, appena prima dell’ultimo intermedio, sotto la pioggia fina ma incessante,  c’era per SportMag, Alessandro Menegon. Un grazie di cuore per i suoi scatti fotografici.

Küng
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Caruso
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Geoghegan Hart
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Thomas
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Roglič
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Evenepoel
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Leknessund
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Giro d’Italia: modifiche al circuito finale di Roma

Circuito di Roma. Giro d'Italia
Circuito finale di Roma a seguito delle modifiche

Purtroppo sembra confermato.  Il circuito finale dell’ultima tappa del Giro d’Italia, nel cuore di Roma, subisce una modifica rispetto a quanto annunciato da RCS Sport nel giorno della presentazione del Grande arrivo, lo scorso 15 febbraio in Campidoglio. Il circuito si attesta adesso su una lunghezza di 13,6 km, anziché 17,6 e perde il tratto altimetricamente più interessante. La fonte è il sito giroditalia.it, più certa di così. Se volete, fate come ho fatto io: guardate le due immagini, sopra il percorso modificato e sotto quello annunciato, e giocate al gioco delle differenze. Saltano subito all’occhio.

Dunque, niente Lungotevere Arnaldo da Brescia, niente svolta verso lo strappetto di Viale Washington, Villa Borghese, Porta Pinciana e ritorno da Muro Torto. La causa sarà mica il cantiere fermo da più di un decennio in quel tratto di Lungotevere? Chissà.
Da Lungotevere in Augusta, senza proseguire oltre, si imboccherà direttamente Ponte Regina Margherita e si farà l’inversione di marcia scendendo per Lungotevere dei Mellini verso Castel Sant’Angelo.

Presto su SportMag una ricognizione dettagliata.

Circuito finale di Roma come era stato presentato.

Immagini: RCS Sport.

 

Laura Carletti

Van der Poel solo a Sanremo

Van der Poel
Van der Poel sul traguardo di Via Roma – LaPresse

Sessantadue anni dopo suo nonno, Raymond Poulidor, Mathieu Van der Poel vince la Milano-Sanremo. Tutto si decide sul Poggio con l’azione della UAE e l’allungo di Pogačar al quale tengono testa solo Van Aert, il nostro Filippo Ganna e, appunto, l’olandese della Alpecin. Poco prima dello scollinamento Van der Poel allunga e gli altri non riescono più a chiudere. Arriverà sul traguardo di Via Roma con un vantaggio di 15’’ su Ganna e Van Aert.

“Il mio piano era di partire un po’ prima. Il margine in cima era buono e quindi ho deciso di non prendere rischi eccessivi in discesa. In caso di caduta non mi sarei perdonato l’errore. Forse nelle mie precedenti partecipazioni alla Milano-Sanremo ho corso troppo sulla difensiva. È la Monumento più facile altimetricamente ma, allo stesso tempo, è la più difficile da vincere”. (MVDP).

Laura Carletti

 

Il giovane assessore e il sindaco coraggioso: storia del ritorno del Giro d’Italia a Roma

Campidoglio, Presentazione del “Grande Arrivo” del Giro 2023 a Roma – Foto Fabrizio Corradetti/LaPresse

Era facile credere che, dopo il 2018, Roma avrebbe perso il Giro d’Italia per sempre. Una ferita che non si sarebbe mai sanata, tanto grossa era stata la figuraccia in mondovisione. Noi romani ci avevamo messo una pietra sopra. Il Giro sotto casa nostra? Mai più. E invece no.

Il 15 febbraio in Campidoglio, alla presentazione del “Grande Arrivo” 2023, l’assessore Alessandro Onorato, riconosciuto da tutti quale principale deus ex machina del miracolo, svela com’è andata.

Per rilanciare Roma, il turismo, i grandi eventi, bisognava anche far tornare il Giro nella capitale d’Italia. Mentre noi chissà cosa stavamo facendo, un anno e tre mesi fa, in una riunione per fare il punto sulle cose da programmare, Onorato ne parlò con il Sindaco:

bla bla bla…il Giro d’Italia a Roma”.

L’assessore al Turismo Sport e Grandi eventi di Roma, Alessandro Onorato. Foto di RadioColonna

E Gualtieri io me lo immagino, seduto su quella sedia da sindaco, chitarra imbracciata, ascoltare in silenzio e poi fissare il suo giovane e rampante assessore negli occhi, puntargli il dito e dire:

Alessandro, per me è un Sì”.

Non era per niente una risposta scontata. Bisogna riconoscerne il coraggio. E ora che tanta fiducia era stata riposta in lui e nel suo lavoro, Onorato cosa fa? Comincia col telefonare al Presidente del CONI, Giovanni Malagò.

Sai Giò, avremmo pensato col sindaco di far tornare il Giro d’Italia a Roma nel 2023”.

Mi sembra una buona idea. Ma conosci la trafila. Bisogna prima convincere Cairo”.

Così i due partirono e si presentarono a Milano nel novembre 2021 “come Totò e Peppino” [cit. Onorato], per parlare con il Presidente di RCS Mediagroup. Saggiamente, in quell’incontro, Onorato lasciò campo libero a Malagò, perché pare che le captatio benevolentiae come le fa lui non le sappia fare nessuno. E andò bene. A Cairo gliela avevano incartata a meraviglia e c’era il via libera.

Il racconto dell’assessore si intreccia a questo punto con quello degli altri presenti alla presentazione del “Grande Arrivo”. I vertici di RCS Sport, Bellino, Vegni, Cairo, ringraziano ripetutamente lui e il sindaco per la missione compiuta insieme. E qui ognuno aggiunge un particolare sull’operato di Onorato, fino a costruire nella mia mente quasi la figura di un assessore super-eroe:

“…sempre presente”,

“…sempre tempestivo nelle decisioni”,

“…sceso anche sulle strade a scegliere i percorsi”.

Immagine creata con Tome AI – “A super hero in the streets of Rome”

Adesso aspettiamo il 28 maggio, giorno in cui a Roma tutto accadrà.

(Ricostruzione semiseria basata su fatti veri raccontati nella conferenza stampa di presentazione del “Grande Arrivo”).

Laura Carletti

 

Oltre la pronuncia di Attila Valter

Un ungherese prende la maglia rosa, parte la querelle sulla pronuncia esatta del suo nome, finché lo si chiede al diretto interessato: “I’m Attìla Wolter”. Tuttobiciweb mette a disposizione qui l’audio della fonte più attendibile, dall’intervista di Stefano Rizzato.

E comunque in tv scelgono consapevolmente, e un po’ scherzosamente, di sbagliare, continuando a chiamarlo Attila Valter, così com’è scritto, “perché per noi è così”.

Prima cosa da fare, in questi casi, andare sul sito di tutte le pronunce, Forvo.com, strumento indispensabile per giornalisti, prima di tanti amici di amici, mogli di amici, eccetera. In questa pagina trovate la pronuncia in ungherese sia di Attila che di Valter. E, sorpresa, suona esattamente come la maglia rosa ha dichiarato di chiamarsi: Attìla Wolter.  Poi fate voi.

Quando nacque Attila Valter, a Csömör, nel Nord dell’Ungheria, Marco Pantani aveva vinto il suo Giro d’Italia da cinque giorni. Era il 12 giugno 1998. Dopo anni di mountain bike, passa alla strada e nel 2018 si è aggiudicato i campionati ungheresi sia nella prova in linea che in quella a cronometro Under 23. Passato alla CCC nel 2019, ha ottenuto sei vittorie nei due anni successivi, tra cui di nuovo la prova a cronometro Elite nei campionati nazionali. Professionista dal 2020, nella sua prima partecipazione al Giro d’Italia si è piazzato al 27° posto.  Oggi nella Groupama-FDJ è catapultato in cima alla classifica e, se terrà ancora un po’ la maglia di leader, forse lo conosceremo meglio e avremo modo di chiamarlo tutti col suo nome.

Laura Carletti

Al Giro d’Italia è sempre un Giovannelli d’assalto. #DivanoGiro

A Ettore Giovannelli  è rimasto quel modo di fare trafelato, sempre pronto a infilarsi tra la gente a caccia di dichiarazioni decisive, come quando interrompeva meccanici e ingegneri nelle loro attività di precisione sull’affollatissima pit lane. L’impressione è sempre stata: “Oh, scappiamo che arriva Giovannelli”.

Dai circuiti di Formula 1 alle strade del Giro d’Italia, lui non si è snaturato. Nel villaggio di partenza va sempre di corsa, ma a caccia di personaggi in costume, testimonials, artigiani del posto, esperti d’arte, personaggi delle istituzioni. Stamattina era in compagnia di un mammut con delle zanne enormi che in qualche anfratto di Stupinigi lo guardava minaccioso dall’alto. E comunque lui continuava ad essere credibile.

Immagine RaiSport

Poi l’abbiamo ritrovato a Novara nel piazzale dello stadio, dove era stato organizzato il parcheggio dei pullman delle squadre. Ci  è andato sicuro perché avrà sentito il richiamo del paddock  nonostante, a causa del Covid, fosse interdetto a pubblico e giornalisti. E’ rimasto lì, come un felino, dietro alle transenne, a documentare quel vuoto e i pullman piccolini laggiù, dai quali non si affacciava nessuno. Ciro Scognamiglio della Gazzetta aveva la faccia di uno appena uscito dalla cabina di un bagno chimico, che di solito sono piazzati nelle aree defilate dei grandi eventi e, incappato in Giovannelli, non ha avuto scampo.

Foto Fabio Ferrari/LaPresse

La tappa era tutta piatta. La fuga a tre di Taliani, Marengo e Albanese viene tenuta lì per lungo tempo dal gruppo. Nel finale le squadre dei velocisti si organizzano, ma esce una volata un po’ disordinata con treni che perdono vagoni, Gavira che si ostacola con Molano e Merlier (Alpecin-Fenix) che la spunta su Nizzolo e Viviani.

Laura Carletti

Hashtag #DivanoGiro

Foto Fabio Ferrari/LaPresse

Torino. É partito il 104esimo Giro d’Italia. Sicuramente avrete sentito dire che la RAI ha fatto uno spiegamento di forze eccezionale, per le dirette integrali delle tappe, le interviste e i pronostici della mattina dal villaggio di partenza, i resoconti del Processo alla Tappa, TGiro e Giro notte. Tanto che, conoscendoci, già dall’inizio viene di parafrasare quel detto secondo il quale “se il ciclismo in tv non esistesse, il mio divano avrebbe una forma del tutto diversa“. Campioni d’ascolto e di fedeltà, faremo da qui tutte le nostre osservazioni poco tecniche sulla corsa rosa. E se la RAI avrà l’hashtag #RaiGiro, noi lanciamo #DivanoGiro.

Si è partiti così dalla mattina con Mecarozzi e Sgarbozza, l’immancabile lavagna del pronostico, la carrellata infinita di interviste ai protagonisti, la ricognizione del percorso, le previsioni del tempo. A un certo punto, si è palesato davanti agli schermi anche Alessandro Fabretti che non si vedeva da un po’. Non passa un giorno al team leader, che è giovane come vent’anni fa quando scorrazzava in moto. Uguale. E poi dritti, in cronaca dalle 14.00 con il primo corridore a prendere il via della cronometro di 8,6 km per le strade di Torino, su e giù per il Po.

Sicuramente avrete pure sentito dire che, per la prima volta, c’è una donna al commento tecnico, la brava Giada Borgato, che affianca in cronaca Francesco Pancani. Rispetto alle classiche dell’anno scorso, che la videro al debutto, è sembrata ancora più spigliata. E poi, cosa importante per il telespettatore esigente, sono stati sistemati i microfoni, in modo da non impazzire appresso al telecomando per alzare quando parla Pancani e abbassare quando parla lei con la sua voce squillante.

Un ritorno al Giro d’Italia è quello dello scrittore Fabio Genovesi. I suoi racconti e curiosità sui luoghi attraversati dalla corsa e sui personaggi storici più o meno conosciuti, sono parentesi molto gradite per molti. Parantesi che, per altro, non sono neanche una novità nel format delle telecronache di ciclismo. Ricordiamo quanto piaceva a Bulbarelli raccontare aneddoti storici di battaglie, rivolte e ghigliottine francesi durante le interminabili pianure del Tour. Lo stesso Pancani, tanto per citare i giorni nostri, durante lo scorso UAE Tour ci ha raccontato di tutto e di più sulle oasi, gli zoo e le moschee degli emirati. Durante i grandi giri allo scrittore è semplicemente affidato questo spazio. Eppure, sui social ci sono inspiegabilmente gli haters di Genovesi, creature cattivissime che minacciano di cambiare canale perché le sue storie sono pesanti. Ecco, vorrei che qualcuno di questi spiegasse il suo concetto di “pesantezza” perché a me, e a molti altri, viene di associare a Genovesi esattamente il concetto opposto, quello di “leggerezza”, così come la intendeva Calvino. Continua così, Fabio, perché è il tuo mestiere, con le parole ci sai fare. E con i numeri? Pancani e Borgato, un giorno o l’altro, ti passeranno i conti da fare in tempo reale per l’aggiornamento delle classifiche, visto che hanno confessato le loro difficoltà. Non come scheggia Martinello che in matematica aveva di sicuro voti alti e ti dava sempre la classifica esatta prima dell’ufficialità.

Ganna rispetta il pronostico, sfreccia col tempo di 8’47” e si prende la prima maglia rosa come l’anno scorso. Secondo, Edoardo Affini che per lungo tempo se n’è stato sull’hot seat, aspetta e spera, e alla fine fa chapeau solo all’amico Pippo.  Tra gli uomini che possono lottare per la generale, i migliori sono stati il portoghese Almeida, quarto con  9’04” e Vlasov, undicesimo con 9’11”.  Gli altri big, da Yates a Bernal, da Nibali a Landa, sono tutti sugli stessi tempi, staccati di 20, 30 secondi. Un pochino peggio Ciccone che lascia una ventina di secondi ai suoi diretti avversari. Invece, nessuno l’ha detto, ma Domenico Pozzovivo ha fatto una bellissima crono in sordina, portando tutti i suoi bulloni al traguardo in ventunesima posizione col tempo di 9’18”.  A presto per altre considerazioni dal divano.

Laura Carletti

 

Geraint Thomas. “Go Welsh”

Geraint Thomas
Geraint Thomas, 2021.

Nella foto era perfetto, per luce, ciocche, posa. Solo che aveva la vecchia maglia Sky e mi è venuto in mente di attualizzarlo con la maglia Ineos Grenadier. Non è stato facile cucirgliela addosso. È Geraint Thomas, vincitore del Tour de France 2018.

Hrvoje Jurić, da un amore per la bici nato per caso al giro del mondo in e-bike: il Giant World Tour

“Ogni viaggio e ogni chilometro di strada sconosciuta ti cambieranno”

A dirlo è un trentaquattrenne di Vrbica, un piccolissimo paese nel nord-est della Croazia. Hrvoje Jurić a metà del 2019, dopo tre anni di preparativi, è partito per un viaggio con la sua bicicletta elettrica: da Zagabria a Vladivostok, poi attraverso tutta l’Australia, il Nord America – da Anchorage nell’Alaska a Halifax in Nuova Scozia – per poi tornare in Europa e pedalare da Lisbona a Zagabria. Ha percorso un totale di 29.061 chilometri, in 133 giorni, 6 ore e 3 minuti. Con questo giretto, chiamato ufficialmente “Giant World Tour“, è entrato nel Guinness dei primati per essere stato il primo ad aver fatto il giro del mondo con una bicicletta elettrica. Ma questa è solo parte della storia, perché a colpire è anche tutto quello che c’è stato prima e dopo questa cavalcata da record.

 

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“Era il 2011. Avevo bisogno di una pausa e di un nuovo inizio”

Oggi Hrvoje è un escursionista, appassionato di fotografia, scrive dei suoi viaggi ed è molto seguito sui social. Ma all’inizio, abbandonati gli studi di economia, Hrvoje non era per niente soddisfatto della brutta piega che stava prendendo la sua vita. Per un periodo fece contemporaneamente tre lavori: giornalista, operaio e scaffalista nei negozi. Era stanco e per niente felice.

“Era il 2011. Avevo bisogno di una pausa e di un nuovo inizio.” I primi di agosto di quell’anno prese la bicicletta del fratello, un catorcio vecchio di 30 anni, e con pochi soldi e poca esperienza pedalò da Vrbica a Pola e ritorno. A quei tempi, Hrvoje del ciclismo non sapeva proprio niente e fino a quel momento non aveva mai pensato alla bicicletta. Quella prima esperienza on the road, però, gli aveva fatto intravedere uno spiraglio per cambiare, per ampliare i propri orizzonti e lasciarsi dietro tanti problemi. “Uscire dalla zona di confort ed entrare nell’ignoto non era niente male”. Quello è stato il primo dei suoi viaggi che l’avrebbero portato in giro per l’Europa e per il mondo.

Cominciano i suoi grandi giri per l’Europa

Nel 2012 pedalò attraverso 11 Paesi d’Europa per 104 giorni e al suo ritorno scrisse e auto-pubblicò il suo primo diario di viaggio. Si guadagnò così lo sponsor Giant, che ancora oggi lo supporta e segue nelle sue spedizioni. Incoraggiato più che mai, con una Giant Expedition AT1, l’anno successivo partì da Vrbice, attraversò le Alpi e puntò dritto per NordKapp, all’estremo più settentrionale della Norvegia e dell’Europa continentale: 4500 chilometri in meno di 80 giorni. Le Alpi le mise nel mirino nel 2014. Tutte le Alpi, dalla Slovenia alla Francia: in 52 giorni scalò 23 passi, di cui 16 oltre i 2000 metri. Al ritorno finì pure in ospedale in stato ipoglicemico e dimagrito di 12 chili. Poi sono venute altre spedizioni, nella neve della Norvegia a -20 gradi, giri della Croazia in compagnia di altri cicloamatori e, nel 2017, un appassionante viaggio umanitario da Londra a Istanbul chiamato “Together we can”, con il quale è stata promossa una campagna di crowdfunding per comprare beni di prima necessità per famiglie bisognose. Anni di preparazione durante i quali Hrvoje ha pensato sempre più in grande, fino a ideare il giro del mondo in e-bike.

Tre anni di preparativi per il progetto “Giant World Tour”

“Era diventata un’ossessione. Mi allenavo sei ore al giorno, anche facendo nuoto e mezze maratone. Avevo perso improvvisamente i miei genitori e volevo vincere per loro questa grande sfida”. Giugno 2019. Per l’occasione, Giant Bicycles gli ha messo a disposizione una bici elettrica personalizzata Revolt E+ e un gruppo di persone speciali l’ha aiutato nella lunga definizione del viaggio. Poi finalmente, è partito. Ha attraversato gli otto fusi orari della Russia, ha pedalato nella neve in Australia, e in Canada ha avvistato orsi e bisonti. Racconta che la maggiore difficoltà che ha affrontato è stato pedalare tra i grandi automezzi che sfrecciavano lungo l’unica strada asfaltata di 10.000 chilometri che unisce St. Pietroburgo a Mosca. Poi il fuso orario, che gli toglieva un’ora di sonno ogni due o tre giorni.

 

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A seguirlo c’era una macchina d’appoggio per ogni evenienza e la sua cagnolona, Ena, che in altre occasioni è anche abituata a viaggiare felice trainata dalla bici nell’apposito trasportino. “Ena ormai è la mia famiglia, noi due siamo una squadra e non so più fare progetti che non la coinvolgano insieme a me.”

 

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Il racconto del viaggio nel suo libro fotografico “Na rubu”

Al ritorno da questa avventura Hrvoje è andato a tirare un po’ il fiato a Dane, nel Nord dell’Istria, ospite nel cottage di un amico. È un posto che ormai fa parte della sua vita, in cui torna spesso, dove ha vissuto i momenti più difficili, ma dove ha anche saputo riprendere in mano la sua esistenza. Lì ha scritto la storia del suo viaggio, “Na rubu”, traducibile letteralmente con “Al limite”. Se il titolo da una parte evoca l’andare a tutta, dall’altra Hrvoje spiega che per lui indica anche quella metaforica passeggiata che fece sul ciglio del burrone – quella ricerca di sé stesso e quel ritrovarsi – avvenuta proprio lì a Dane. In questo libro fotografico, con testo e circa 160 fotografie, Hrvoje racconta l’intera preparazione del Giant World Tour, l’organizzazione del viaggio, le centinaia di chilometri percorsi ogni giorno, quanto ha contato la sua forma fisica e mentale e anche cosa è successo quando il viaggio è finito. Il libro contiene inoltre le mappe con il percorso e informazioni sulle tappe.

 

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Visto che poi ha rimandato diverse volte l’uscita del libro causa COVID-19, c’è stato il tempo per aggiungere un’appendice che riguarda il suo ultimo progetto appena terminato: “Via Adriatica Bike“. La scorsa estate Hrvoje ha percorso, tracciato e documentato per tutti gli appassionati l’itinerario ciclabile più lungo della Croazia, 1300 chilometri con più di 20.000 metri di dislivello che si estende lungo la costa adriatica, da Prevlaka – al confine col Montenegro – a Kamenjak – a sud di Pola.

E a questo punto il fotolibro racconta anche una storia d’amore che Hrvoje chiama “il puntino sulla i” di tutte queste ultime avventure. Durante la sua esplorazione lungo l’Adriatico, arrivato con Ena al porto di Plomin, un grosso border collie è corso verso di loro e ha immediatamente cominciato a giocare con Ena che sembrava impazzita. Falliti tutti i tentativi di allontanarlo e  assicuratosi che il padrone non poteva prendersi cura di lui, l’unica cosa possibile era adottarlo.

 

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E fu così che Max è tornato a casa con loro. I due cani seguono ovunque il padrone famoso, anche nelle ospitate in tv, e sono diventati delle vere e proprie star e influencer sui social. Poi, in questo nuovo anno, Max dovrà vedersela con i primi test di viaggio, fino a verificare come se la cava sulle lunghe distanze.

Intanto, in questi giorni Hrvoje li ha eccezionalmente caricati in macchina insieme a pile di libri. Sta infatti girando in lungo e in largo la Croazia per consegnare di persona la sua opera ai suoi tanti follower e lettori ormai affezionati. Solo per chi vive proprio fuori mano, la spedizione è garantita via posta.

Laura Carletti

 

Per approfondire:

Giant World Tour

Giant Bicycles US

Twitter @konjos

Instagram @hrvoje_juric

Facebook Hrvoje Jurić ; @GiantWorldTour

 

Dicono Dendermonde, capisci Montalcino

Seguire solo il ciclismo su strada e non essere avvezzi al ciclocross, di questi tempi non è buona cosa. Infatti, quando poi vedi van Aert e Van der Poel che si danno battaglia nel fango di Dendermonde per la terza prova di coppa del mondo, succede una cosa inevitabile: scatta il paragone con Montalcino. Non con una “Strade bianche” qualsiasi, ma con la Carrara-Montalcino, Giro 2010. Questo perché non hai il metro per raffrontare la gara belga di ieri con altre gare della disciplina CX e poi perché, da ormai un decennio, Montalcino è stabile nei ricordi più fangosi e di scarpe da buttare.

Così, archiviato il Belgio, presa dalla nostalgia, prima ho rivisto il finale di tappa, poi ho ripercorso quella mia giornata, rispolverando un pezzetto d’amarcord che ripropongo. Si parla di quartiertappa, quindi si parla di Antonio Maiocchi, a cui va il mio ricordo e la mia piccola dedica.


Giro 2010, 7a tappa, Carrara-Montalcino. Ultimi 15km. RaiSport.

Montalcino: tutto il fango della vita 

Toscana. Notte. Pioggia. Campagna. Più che un albergo, un angolo di borgo medievale. Persone avvistate nei paraggi, zero. I passi verso l’ingresso e la reception sono: appesantiti dai bagagli, titubanti e conditi dal forte desiderio di essere accolti da gente vestita normale e non da qualcuno che ci dica che siamo sbarcati a Frittole. No, Lucignano in Val d’Arbia, 14 maggio 2010.

Nell’aria c’è già  l’idea di alzarsi presto domattina e fare una breve ma intensa perlustrazione storico-artistica del luogo. Salvo estemporaneo invito ad alzarsi ancora un po’ più presto per portarsi a casa la soddisfazione di veder montare da zero il quartiertappa. E non un quartiertappa qualunque. Quello di Montalcino. L’aggiunta di un “Guarda che domani è bello” è quasi superflua. Il posto in macchina era già prenotato. All’alba si capisce che “bello” non era riferito al tempo ma, più verosimilmente, agli uffici del Comune che ci ospitano. Ci si arriva, specchietto più, specchietto meno, percorrendo vicoli stretti. Si stagliano sulla piazza con muro di pietre a vista e, in altri giorni dell’anno, dominano un panorama mozzafiato. Invece è successo che oggi la nebbia è calata sui colli senesi e piove una pioggia novembrina ininterrotta. Della perfetta scenografia prescelta per una primaverile giornata di maggio rimangono cortili, cortiletti, chiostri e porticati impantanati. Dentro si sente qualcosina in più di uno spiffero, ma non è niente. Non siamo in bici. Non dobbiamo fare 222 Km, con 20 Km di sterrato nel finale. Noi. Noi siamo qui per allestire, o vedere allestire, tutto l’ambaradam del quartiertappa. Ed è andata più o meno così. Planimetria alla mano, s’è deciso il flusso: si entra da lì, arrivano qui, proseguono là, poi li facciamo girare lì e escono da là. Spuntano frecce e cartelli: logistica, accrediti, amministrazione e, superati ad Amsterdam i dubbi su come si scrive, toilette. Si personalizza il tutto con i teli del Giro, srotolati su tavoli e angoli troppo anonimi. Si accoglie e si abbellisce con pannelli roll-up. Fatto. Arrivano tutti quelli che devono arrivare, più i cantuccini. Si stampano pass. Intorno, dicono tutti le stesse cose: “che tempo” e “tappa epica”.

Evans così sporco non c’aveva vinto nemmeno nel cross country. Patimento stampato sulla faccia di tutti e mani che cercano le transenne dopo l’arrivo. Forse il fango se lo laveranno via completamente solo fra qualche giorno. Come solo dopo certe Roubaix. Dal traguardo ti rendi conto così di quello che hanno combinato oggi le strade bianche dell’Eroica. E poi, prima di ripartire, ti rendi conto anche di quello che riesce a combinare nel suo piccolo il bordo strada di Montalcino se ci affondi dentro con tutte le scarpe.

Laura Carletti