Alaphilippe e quella voce che non viene dalla radiolina

Alaphilippe
Julian Alaphilippe – campione del mondo #Imola2020

Se avete detto che siete contenti per la vittoria a Imola di Alaphilippe e qualcuno vi ha risposto “Ma è francese!”, forse quel qualcuno non segue tanto il ciclismo. Perché oggi la nazionale italiana non partiva da favorita e, al tempo stesso, erano presenti fuoriclasse sui quali non ti chiedi “se” vinceranno un mondiale, ma quando” lo vinceranno – come van Aert, Hirschi, Pogačar, Alaphilippe appunto – o se lo potranno vincere “di nuovo” – come Kiatkowski o Valverde. Tutti reduci dal Tour de France.

Questo mondiale che non ha cambiato data si ritrova stretto tra la fine della corsa a tappe francese e l’inizio del Giro d’Italia. E la sua storia comincia sulle strade del Tour. Alaphilippe aveva fatto in tempo a vincere la seconda tappa, indossare la maglia gialla e piangere dedicando la vittoria al papà recentemente scomparso. Poi, dopo appena cinque giorni di corsa in terra francese, si parla di mondiale: a seguito della rinuncia della Svizzera, arriva l’ok dell’UCI alla candidatura di Imola. E, scoperto questo percorso che gli si addiceva così tanto, Alaphilippe stacca. Con la testa stacca dal Tour che già gli ha dato tanto e pensa al mondiale. A differenza sua, in Francia Pogačar spende fino all’ultima energia nello scontro con Roglič, e van Aert si consuma a supporto dello sloveno della Jumbo Visma.

Poi, certo, al via del mondiale ci sono anche quelli che stanno preparando il Giro d’Italia. Che sono un po’ un’incognita e, comunque, non sono quelli del “quando”, né del “di nuovo” ma viaggiano verso lo “stavolta o mai più”: Nibali e Fuglsang, anni 35. D’esperienza. E, per carità, ce ne vuole su questo percorso, 9 giri per un totale di 258 chilometri con quasi 5000 metri di dislivello totale.

Ognuno a fare il tifo per i propri, com’è giusto. Ma voi immaginate i francesi che non salgono sul gradino più alto del podio da 23 anni e che adesso sono impazziti per Alaphilippe, quello che hanno battezzato Lou Lou. Ancora più impazziti di quanto non lo siano stati per Voeckler, quello che avevano battezzato T-Blanc e che poi adesso è il ct della loro nazionale. E pensate ad Alaphilippe, quel fuoriclasse che ha già vinto tanto e che ha pianto in Francia il 30 agosto con la maglia gialla ricordando il padre.

E allora di sfidanti possono essercene tanti, usciti dal Tour o in forma crescente per il Giro, giovani promesse o coraggiosi vecchietti. Ma sembra tutto chiaro.

Si corre senza radioline. Julian non sa quanti secondi ha messo tra se e il gruppetto di inseguitori con quasi tutti i migliori. Cerca di chiederlo ai motociclisti, si volta sperando di non vederli sbucare dietro alla curva. Senza radioline per regolamento. Non sente la voce di Voeckler che in ammiraglia o dal paddock starà sicuramente gridando “Alè-Alè-Alè”. Ma Julian sente la voce del padre. Che quante parole avrà speso per lui e per le sue vittorie, quante volte gli avrà detto euforico che un giorno sarebbe diventato campione del mondo? E allora adesso non servono né il cronometro né gli urlacci di Voeckler. Serve solo andare. Perché La voce dei morti è la più forte, e fa succedere quel che i vivi non possono”, scrive Fabio Genovesi nel suo ultimo libro, “Cadrò, sognando di volare”. Un libro dedicato a Pantani, che tutti gli amanti del ciclismo dovrebbero leggere, che fa riflettere sui successi di noi mortali, quei successi forgiati giorno dopo giorno inseguendo sogni e promesse fatte a chi abbiamo voluto bene e che si sostengono solo nel ricordo delle loro voci invadenti.

Poi forse qualche simpatico dissacratore dirà che Julian, spedito verso l’autodromo, avrà più che altro sentito la voce della sua fresca fidanzata Marion Rousse, ex ciclista, ex moglie di Tony Gallopin e attuale anchorwoman della tv francese. Può darsi. Comunque roba forte.

Ecco, Alaphilippe è francese. È un fuoriclasse francese che prima o poi il mondiale l’avrebbe vinto. Che almeno il primo sarebbe stato quello di quest’anno, adesso sembra quasi ovvio. Siatene contenti.

Laura Carletti

Filippo Ganna è il primo campione del mondo italiano a cronometro

Il percorso della cronometro mondiale di Imola

L’arrivo è sulla griglia di partenza, ma contromano. I corridori imboccano la Tosa verso le due varianti per poi infilarsi nel rettilineo e prendere la bandiera a scacchi. La crono mondiale, l’abbiamo visto già con le ragazze, non è una passeggiata. 31,7 km che iniziano e finiscono nell’autodromo di Imola, un avanti e indietro veloce con rischio vento e oggi, per un po’,  anche rischio pioggia. Pare che il tempo si faccia nella prima parte, all’andata verso Casalfiumanese con la strada che sale tutta leggermente per 15 km e poi  il tempo lo fermi lì, a Borgo Tossignano, per l’intermedio. Nella discesa e negli strappetti verso l’autodromo però sarà importante sapersi gestire, evitare ogni tipo di problema, folata, sbandata, evitare di cadere giù come ieri la Dygert, che si è catapultata di sotto, oltre il guard rail quando era in testa e lanciata verso il suo bis iridato. E soprattutto, per tutti i 31,7 km, evitare di distrarsi per il paesaggio, le colline dalle diverse tonalità di verdi, verdi intensi, verdi giallastri, le stradine che serpeggiano i loro fianchi morbidi decorate da file di cipressi. Tutto questo lasciamolo alla regia internazionale franco-svizzera che riempirà gli occhi dei telespettatori sparsi per il mondo. Però, ad un certo punto e fino quasi a metà gara, i tifosi italiani si trasformano tutti in Fiorenza, la ragazza hippie di Un sacco bello, compreso l’ex campione del mondo Ballan che in cronaca ha espresso con parole gentili il concetto: “Sì, però pure la campagna, dopo un po’, du’ palle”.

Gli occhi sulla corsa dei due italiani

Affini, vogliamo vedere Edoardo Affini. È primo all’intermedio, dimenticato da moto ed elicotteri impegnati in campi lunghi e lunghissimi. Finalmente inquadrato dalle telecamere sul traguardo. Primo con 37’25’’. E ci rimarrà un po’ lì a friggere sulla hot seat. Una mezzora, finché non arriva Geraint Thomas. Finirà quattordicesimo.

La nostra seconda pedina, che poi sarebbe la prima, per la corsa contro il tempo è Filippo Ganna, un favorito. È appena partito. Ha vinto già quattro volte l’oro, ma su pista. L’Italia non ha mai piazzato il colpo grosso su strada e quest’anno, in questo mondiale arrivato in casa poco più di 20 giorni fa, caricato all’improvviso sulle spalle di un’organizzazione impeccabile, chissà che non sia la volta buona. Ganna parte dopo van Aert, Kung, Dumoulin e prima di Dennis, il campione in carica. Da un certo punto in poi, arrivano a Pancani, e solo a lui, i rilevamenti live, come quelli che prova a fare Saligari sulle salite del Tour, ma più ufficiali. Parlerebbero di una splendida cavalcata di Ganna verso la vittoria. Ma lui, che i numeri nemmeno gli piacciono tanto, non ci crede e chiude tutto. Quindi, quello che fa fede è il colore del quadratino dei tempi in sovrimpressione: verde finché si è in vantaggio, rosso quando si accumula ritardo. E gli occhi sono tutti lì. Verde, rosso. Verde, rosso.

Intermedio. Ganna: verde. Dennis: rosso. Traguardo. Van Aert: verde. Ganna: verde. Dennis: rossissimo. È fatta. È vero. Paga nella seconda parte il campione australiano che si ferma al quinto posto a 39’’. Dumoulin sprofonda decimo a 1’14’’. Dobbiamo crederci che il piemontese si prende la prima medaglia d’oro per l’Italia nella storia delle cronometro mondiali. Argento a van Aert e bronzo allo svizzero Kung.

Filippo è bello sul podio con la maglia già vestita e la medaglia al collo come da procedura Covid. Ora con questa maglia correrà la cronometro d’apertura del Giro d’Italia a Palermo, sabato prossimo. Forse fino a sabato non se la toglierà più. Poi ha detto che spera di svestirla per indossare direttamente quella rosa. “Una lucida follia”, la sua, alla portata, lì da cogliere. E che gli vada bene. Una lucida follia, come  Di Rocco ha chiamato goliardicamente tutta questa avventura organizzativa di #Imola2020. Che prosegua bene così. Da domani le prove in linea.

Laura Carletti