Dicono Dendermonde, capisci Montalcino

Seguire solo il ciclismo su strada e non essere avvezzi al ciclocross, di questi tempi non è buona cosa. Infatti, quando poi vedi van Aert e Van der Poel che si danno battaglia nel fango di Dendermonde per la terza prova di coppa del mondo, succede una cosa inevitabile: scatta il paragone con Montalcino. Non con una “Strade bianche” qualsiasi, ma con la Carrara-Montalcino, Giro 2010. Questo perché non hai il metro per raffrontare la gara belga di ieri con altre gare della disciplina CX e poi perché, da ormai un decennio, Montalcino è stabile nei ricordi più fangosi e di scarpe da buttare.

Così, archiviato il Belgio, presa dalla nostalgia, prima ho rivisto il finale di tappa, poi ho ripercorso quella mia giornata, rispolverando un pezzetto d’amarcord che ripropongo. Si parla di quartiertappa, quindi si parla di Antonio Maiocchi, a cui va il mio ricordo e la mia piccola dedica.


Giro 2010, 7a tappa, Carrara-Montalcino. Ultimi 15km. RaiSport.

Montalcino: tutto il fango della vita 

Toscana. Notte. Pioggia. Campagna. Più che un albergo, un angolo di borgo medievale. Persone avvistate nei paraggi, zero. I passi verso l’ingresso e la reception sono: appesantiti dai bagagli, titubanti e conditi dal forte desiderio di essere accolti da gente vestita normale e non da qualcuno che ci dica che siamo sbarcati a Frittole. No, Lucignano in Val d’Arbia, 14 maggio 2010.

Nell’aria c’è già  l’idea di alzarsi presto domattina e fare una breve ma intensa perlustrazione storico-artistica del luogo. Salvo estemporaneo invito ad alzarsi ancora un po’ più presto per portarsi a casa la soddisfazione di veder montare da zero il quartiertappa. E non un quartiertappa qualunque. Quello di Montalcino. L’aggiunta di un “Guarda che domani è bello” è quasi superflua. Il posto in macchina era già prenotato. All’alba si capisce che “bello” non era riferito al tempo ma, più verosimilmente, agli uffici del Comune che ci ospitano. Ci si arriva, specchietto più, specchietto meno, percorrendo vicoli stretti. Si stagliano sulla piazza con muro di pietre a vista e, in altri giorni dell’anno, dominano un panorama mozzafiato. Invece è successo che oggi la nebbia è calata sui colli senesi e piove una pioggia novembrina ininterrotta. Della perfetta scenografia prescelta per una primaverile giornata di maggio rimangono cortili, cortiletti, chiostri e porticati impantanati. Dentro si sente qualcosina in più di uno spiffero, ma non è niente. Non siamo in bici. Non dobbiamo fare 222 Km, con 20 Km di sterrato nel finale. Noi. Noi siamo qui per allestire, o vedere allestire, tutto l’ambaradam del quartiertappa. Ed è andata più o meno così. Planimetria alla mano, s’è deciso il flusso: si entra da lì, arrivano qui, proseguono là, poi li facciamo girare lì e escono da là. Spuntano frecce e cartelli: logistica, accrediti, amministrazione e, superati ad Amsterdam i dubbi su come si scrive, toilette. Si personalizza il tutto con i teli del Giro, srotolati su tavoli e angoli troppo anonimi. Si accoglie e si abbellisce con pannelli roll-up. Fatto. Arrivano tutti quelli che devono arrivare, più i cantuccini. Si stampano pass. Intorno, dicono tutti le stesse cose: “che tempo” e “tappa epica”.

Evans così sporco non c’aveva vinto nemmeno nel cross country. Patimento stampato sulla faccia di tutti e mani che cercano le transenne dopo l’arrivo. Forse il fango se lo laveranno via completamente solo fra qualche giorno. Come solo dopo certe Roubaix. Dal traguardo ti rendi conto così di quello che hanno combinato oggi le strade bianche dell’Eroica. E poi, prima di ripartire, ti rendi conto anche di quello che riesce a combinare nel suo piccolo il bordo strada di Montalcino se ci affondi dentro con tutte le scarpe.

Laura Carletti